Migranti della salute: il Nord si è preso mezzo miliardo in più dalla Calabria
L’anno scorso sono stati quasi 1 milione i “migranti della salute” italiani. Quei pazienti che partono per farsi curare in un’altra regione, soprattutto da Sud a Nord, con costi che pesano e non poco sui bilanci regionali meridionali. Tanto che proprio mentre si riaccende lo scontro Nord-Sud e si discute l’autonomia rafforzata delle tre regioni più virtuose nella sanità, dalla Calabria arriva la richiesta di far luce sulle rendicontazioni dei costi della cosiddetta “mobilità sanitaria”. Nei conti non tornerebbero 500 milioni trasferiti negli ultimi anni. Con il dubbio che qualcuno non l’abbia raccontata proprio giusta.
Un giro d’affari pubblico, quello della cosiddetta “mobilità sanitaria”, che, seppure in calo, sposta ancora 4,285 miliardi. Con tutte le regioni del Mezzogiorno, escluso il Molise, in saldo negativo. Chi guadagna di più è come sempre la Lombardia, con un saldo positivo di oltre 692 milioni, seguita dall’Emilia Romagna con poco meno di 327 milioni. Al terzo e quarto posto Toscana, con oltre 144 milioni, e il Veneto con 98,6 milioni (qui la tabella pubblicata da Quotidiano Sanità). La Calabria è la più indebitata, con un saldo negativo di quasi 320 milioni, seguita dalla Campania con più di 302 milioni e dal Lazio con oltre 289 milioni.
Ogni anno, sulla base delle matrici di costi degli anni precedenti, vengono stabilite le somme dovute, regolate secondo un Testo Unico approvato dalla Conferenza Stato-Regioni che ha individuato sette flussi finanziari, dai ricoveri alle cure termali. Poi a fine anno si presenta il “conto” e si fanno i conguagli con i trasferimenti di denaro da una regione all’altra.
Ma siamo sicuri che le cifre della mobilità sanitaria siano sempre dovute? La domanda arriva dalla Calabria fanalino di coda. Perché, come scrive il Corriere della Calabria, viene fuori che negli ultimi dieci anni circa mezzo miliardo di euro, pari a due terzi del bilancio regionale, sarebbe stato trasferito illecitamente dalla Calabria per le prestazioni erogate a cittadini calabresi da strutture di altre regioni. Incrociando i dati regionali e ministeriali, il capo del Dipartimento della salute regionale avrebbe scoperto la somma pagata per prestazioni mai eseguite.
Un’anomalia che anche il deputato calabrese del Pd Antonio Viscomi fa notare. «La Calabria consegna 320 milioni all’anno alle altre regioni per pagare la mobilità sanitaria, cioè tutti gli interventi sanitari di cui beneficiano i cittadini calabresi in altre regioni. Tutto dovuto, sempre e comunque?», ha scritto su Facebook. «Siamo sicuri che tutti i dgr delle altre regioni, che tutte le pratiche e che tutte le terapie siano corrette? Se non lo siamo, allora perché non attivare un organismo regionale di controllo che, con la collaborazione degli operatori sanitari ai diversi livelli, possa controllare ogni pratica clinica sospetta di essere scorretta consentendo alla regione Calabria di richiedere i soldi indietro».
Tant’è che lo scorso 12 febbraio, a Roma, alla riunione della Commissione salute della Conferenza delle Regioni, solo per la Calabria è stata sospesa la rata di conguaglio 2019 per la mobilità passiva, pari a circa 8 milioni di euro. La Commissione tecnica ha ritenuto fondate le osservazioni fatte sulla appropriatezza di alcuni costi, «con evidenti inesattezze e comportamenti opportunistici», ha spiegato il delegato alla sanità calabrese. Che ha annunciato la costituzione di un Nucleo di verifica dei flussi di mobilità per capire se i conti tornano o no. Anche perché la Calabria, a quanto pare, non avrebbe fatto finora alcun controllo sulle rendicontazioni della mobilità sanitaria, prendendo per buone quelle presentate dalle regioni “creditrici” del Nord. Un controllo che ora potrebbe aprire uno scontro tra regioni, spingendo anche altre amministrazioni a fare lo stesso.
Di scarsa trasparenza dei dati della mobilità sanitaria, in realtà, aveva parlato già la Fondazione Gimbe di Bologna un anno fa, chiedendo al ministro della Salute di rendere pubblici non solo i dati aggregati in crediti, debiti e relativi saldi, ma anche i dati finanziari integrali trasmessi da ciascuna regione a Roma. Cosa che «permetterebbe di analizzare, per ciascuna Regione, la distribuzione delle tipologie di prestazioni erogate in mobilità», dicono, anche per capire quali siano le necessità fisiologiche dovute alla carenza di servizi e quali invece cattive abitudini legate alla mancanza di fiducia nella sanità di alcune regioni. Abitudini che però incidono e non poco, in positivo e in negativo, sui bilanci regionali. Rendendo ricche alcune e dilapidando altre. E se poi sorge il dubbio che non sia tutto regolare, le cose si complicano.
Già in passato, da Monti a Renzi, si era provato a mettere i paletti alla mobilità da Sud verso le grandi cattedrali della sanità settentrionale. Cercando di risparmiare qua e là, spesso derubricando la cosiddetta “complessità” alcune prestazioni, in modo da rendere opzionali i rimborsi. Con tanto di rivolta delle strutture del Nord, soprattutto di quelle private accreditate. Che in questi anni si sono moltiplicate anche grazie alla scarsa efficacia dei tetti ai budget regionali. (linkiesta)