Malasanità, non è stato un tragico incidente
A qualcuno hanno sbagliato la diagnosi, ad altri l’assistenza o la terapia. C’è chi è deceduto al Pronto soccorso e chi in sala operatoria. Il podio per numero di casi spetta al Sud ed è diviso tra Sicilia, Calabria e Lazio.
La cronaca nera entra in corsia e racconta un’Italia che spende circa 22,5 miliardi di euro all’anno per risarcimenti da «colpa medica». E, così, il 15 per cento circa della spesa sanitaria viene consumato per rimediare agli errori di cui sono rimasti vittime il 10 per cento dei pazienti che mettono piede in una struttura sanitaria. Per l’1 per cento di loro non c’è scampo e il caso finisce in modo tragico.
Gli unici dati disponibili sono contenuti in un report sulla qualità dei servizi sanitari diffuso dall’Oms, l’Organizzazione mondiale della Sanità: sui circa 10 milioni di ricoveri ospedalieri, un milione di pazienti incappa in un errore sanitario. Tra loro circa 700 mila contrae un’infezione legata all’assistenza e 7 mila sono i decessi per cause direttamente riconducibili alle infezioni. Quasi 3.500 casi, stando alle stime dell’Oms, in astratto sarebbero prevenibili.
I risarcimenti veri e propri, inoltre, sono solo una piccola fetta dell’importo speso per accomodare i cosiddetti casi di malasanità. Ciò che costa davvero sono i prolungamenti delle degenze e le cure aggiuntive. Spesso, infatti, i casi non si trasformano in contenziosi. E le denunce, addirittura, sono in calo.
L’ultimo bollettino statistico curato dall’Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni riporta questo dato: nel 2016 le assicurazioni hanno ricevuto 15 mila denunce per un sinistro ospedaliero. Nel 2010 erano 30 mila. Ma il dossier avverte: molte aziende sanitarie hanno fatto ricorso ad accantonamenti nei bilanci per i rischi, evitando le assicurazioni. E quindi lavano i panni sporchi in casa, lasciando così molti casi nell’ombra. Soprattutto perché i sanitari sono tradizionalmente contrari a segnalare in modo spontaneo gli eventi avversi.
«L’auspicio» spiega sul suo sito web il giurista Gabriele Chiarini, esperto di diritto sanitario, «è che possa trovare compiuta attuazione la norma che prevede l’obbligo di attivare una adeguata funzione di monitoraggio, prevenzione e gestione del rischio».
In genere, però, le strutture cercano di occultare gli errori. Per far emergere casi eclatanti c’è chi ricorre a delazioni anonime. A Cagliari, per esempio, una lettera a righe fitte, senza firma ma su carta intestata dell’ospedale Brotzu, ha svelato a una donna che il marito non era morto per caso: «Non è stata una terribile disgrazia». E ha fornito un elenco di dettagli sull’intervento a cuore aperto finito male.
Anche a Potenza è stato un anonimo a denunciare che una paziente era stata operata da morta nell’ospedale San Carlo: il primario e l’équipe, ora sotto processo, le avrebbero impiantato una valvola, dice l’accusa, dopo averne provocato il decesso chiudendole con una pinza la vena cava.
I casi sono tanti. Operazioni sbagliate, ma non solo. Il Veneto è alle prese con un batterio killer. Si teme che tra il 2010 e il 2017 molti pazienti possano essere stati infettati da uno strumento per la cardiochirurgia: sei persone sono morte. Per aver trasmesso l’epatite C a una paziente umbra con una trasfusione nel 1988, invece, i giudici di Perugia dopo 30 anni hanno stabilito che il ministero della Salute dovrà pagare 300 mila euro (10 mila per ogni anno di calvario). È la morte in sala parto, però, che scuote la magistratura.
A Genova mesi fa è stata inflitta una pesante condanna a un ginecologo e a una neonatologa per il decesso di una bimba: sei mesi di carcere e 250 mila euro di multa. Stando all’accusa, i due medici avevano lasciato la mamma e la piccola senza assistenza. In Sicilia l’errore in sala parto è costato all’ospedale Civico di Palermo 2 milioni di euro. La sentenza record ha risarcito a fine 2018 una bambina che, appena nata, ha perso la vista per colpa dei sanitari.
Molti anche gli errori più grossolani: ad Aosta, dopo un incidente, a un ragazzo 20enne hanno ingessato la gamba sbagliata; a una signora milanese di 78 anni, dopo un’operazione di 56 anni fa è rimasto un ago nella pancia e quest’anno la Cassazione l’ha risarcita con 200 mila euro; all’Ismett di Palermo due anatomopatologhe sono finite sotto inchiesta per aver fatto una biopsia su un polmone sano, tralasciando quello malato. L’elenco è lungo. Ed è in aggiornamento continuo. (Panorama)