Lotta al virus, ecco il decalogo per la salvezza a domicilio
In questo momento mezzo milione di persone, in Italia, sono isolate a casa perché positive al virus. Mezzo milione di italiani si stanno cioè chiedendo con un po’ d’ansia «come sto». Cercano di capire se il Covid sta scivolando via asintomatico o se la malattia sembra trovare spazio, e se sì quanto. Si chiedono se i servizi sanitari sapranno rispondere all’emergenza, nel caso il fiato dovesse mancare; se il medico di base uscirà a visitarli, se arriverà un’unità mobile, o se invece le telefonate suoneranno a vuoto, in un’attesa che non ha giustificazioni. Stanno pensando con chi poter parlare delle proprie emozioni. A chi chiedere supporto. Si stanno interrogando su come aiutarsi a stare meglio, in attesa della guarigione, o del tampone che sancisca l’avvenuta scomparsa del virus.
Come aiutarsi a stare meglio? Il decalogo che trovate in queste pagine prova a rispondere a questa domanda. Incrociando fonti e ascoltando alcune delle più autorevoli voci nazionali e internazionali sul tema, L’Espresso ha ricostruito una mappa di azioni utili per le persone che stanno superando forme lievi o medie della malattia a casa, da soli o in famiglia. L’avvertenza – a contattare il proprio medico, come prima cosa, sempre – è ovvia. Così come un’altra avvertenza, più collettiva e politica: le forme di monitoraggio, prevenzione e auto-supporto, raccolte in queste pagine, funzionano davvero solo se inserite in un contesto capace di attivarsi immediatamente in caso di emergenza. L’isolamento domiciliare non può infatti diventare abbandono domiciliare. Non può trasformarsi, come abbiamo visto con dolore a marzo nelle valli lombarde, nella solitudine della paura senza risposte al telefono. Fino ad arrivare ai casi estremi, alla morte, sopraggiunta senza presa in carico da parte degli ospedali o dal 118 ormai in sovraccarico. Non può. Anche perché, come spiega Giorgio Costantino, primario del Pronto Soccorso del Policlinico di Milano e professore a Unimi: «I pazienti possono peggiorare molto velocemente. In modo repentino. Per questo la presa in carico deve iniziare presto, e continuare nella valutazione fino alla riabilitazione».
Costantino, nonostante gli anni e l’esperienza, ancora adesso ammette di avere «un po’ di timore ogni volta che dimetto un paziente Covid. Spesso dò il mio cellulare personale. Per continuare a seguirli, tutelarli». Per farlo serve una rete di servizi che funzioni.
Nella settimana a cavallo fra fine ottobre e inizio novembre ci sono stati 223 nuovi isolati a domicilio ogni 100.000 abitanti, in Italia, contro 10 nuovi ricoveri ordinari e 1 nuovi ricoveri in Terapia Intensiva, in proporzione, mostra l’ultimo rapporto istantaneo di Altems, università cattolica di Milano. Circa il 95 per cento dei nuovi positivi è stato quindi isolato a domicilio, perché presenta una forma non così preoccupante della malattia. L’appropriatezza dei ricoveri è essenziale, in un momento di sovraffollamento delle strutture ospedaliere e quindi di scarsità di risorse (letti, personale) nei reparti, che fa ricadere una pressione ancora maggiore sui reparti d’emergenza e Pronto Soccorso.
«È nostro dovere, per il rapporto di fiducia che ci lega ai cittadini, assicurare che ci sia almeno un riferimento, un medico o un infermiere che rispondono al telefono, che chiamano ogni giorno per sapere come vanno i valori dei pazienti sintomatici; che vengano di persona a casa in visita, protetti dai Dpi, certo, ma fisicamente presenti, se serve. Insomma, è nostro dovere assicurare una presa in carico reale dei pazienti», riflette Sergio Livigni, anestesista, direttore del dipartimento chirurgico dell’Asl Città di Torino e consigliere dell’Unità di crisi regionale. Per questo sta rafforzando le Usca, le unità speciali di continuità assistenziale, gruppi di medici e infermieri che dovrebbero provvedere alle carenze della medicina territoriale. «Stiamo realizzando un corso rapido di ecografia per 110 Usca, in modo che possano recarsi a domicilio con qualche strumento in più». Curare non è solo fare telefonate, è superare la barriera che frena dall’andare a trovare le persone a casa loro, e raggiungerle. La presa in carico aumenta le responsabilità, ma è l’unico modo per salvaguardare i pazienti e allo stesso tempo le strutture.
Le buone pratiche che seguono possono avere senso se quella presa in carico non viene a mancare, se al peggiorare dei valori è possibile trovare subito un canale diretto di comunicazione con i numeri d’emergenza. È la sfida che attende le risposte regionali alla pandemia nelle prossime settimane.
1. IDRATAZIONE
Mai dare per scontati i fondamentali. I professionisti dell’Aspen, l’American society for Parental and Enteral Nutrition, insistono dall’inizio della pandemia sulla necessità di bere acqua, anche quando non si ha sete. Serve alla risposta immunitaria nel complesso, ma non solo. Quando si è disidratati, le secrezioni respiratorie diventano più corpose e quindi difficili da espellere dai polmoni. Non solo. La disidratazione è correlata anche a una maggior possibilità di contrarre infezioni nelle vie urinarie. Oltre che alla difficoltà a concentrarsi, e all’abbassamento della pressione. Bere è quindi la base necessaria per ogni convalescenza. Per un adulto servono almeno due litri, in condizioni normali; 6-8 bicchieri distribuiti nell’arco della giornata. Se non si riesce a bere molto, bisogna impegnarsi a fare piccoli sorsi d’acqua o tè ogni cinque minuti. Di notte, meglio tenere dell’acqua vicino al letto.
2. CONTROLLO DELLA SATURAZIONE
Ogni positivo isolato a casa dovrebbe avere un saturimetro a ditale con sé. Si tratta di un apparecchio che serve a misurare quanto ossigeno è presente nel sangue. Quando il polmone non funzione bene, la quantità di ossigeno trasportata dal sangue risulta bassa. La misurazione va compiuta in penombra, tenendo le dita ferme, e ripetuta per indice e medio di entrambe le mani (4 misurazioni). Dei 4 valori, va scartato il più basso. A quel punto bisogna calcolare la media (somma dei tre valori rimanenti, divisa per tre). Il valore ottenuto è il valore di saturazione. «Valori di saturazione periferica superiori al 95% sono da considerarsi normali. Nei pazienti affetti da patologie polmonari croniche i valori di riferimento sono generalmente più bassi. Nei pazienti COVID-19, così come per molte altre patologie polmonari, la desaturazione sotto il 95% è un indice di compromissione della funzione respiratoria», spiegano gli autori del progetto “La cura inizia a casa”, coordinato dall’Istituto Mario Negri.
3. TEST RAPIDO DEL CAMMINO
«Anche quando la saturazione è normale, può essere già presente una lieve disfunzione. Per coglierla, è sufficiente far fare al paziente un piccolo sforzo fisico per breve tempo, come camminare a passo veloce per 20 o 30 metri», spiegano i ricercatori del Mario Negri nel progetto: «In condizioni normali un simile sforzo verrebbe facilmente compensato dai polmoni, e la saturazione periferica rimarrebbe assolutamente normale. Nel paziente con polmonite COVID-19 in forma lieve, questo piccolo sforzo è in grado di mettere a nudo la difficoltà respiratoria, mostrando una repentina riduzione della saturazione». Questo test, elaborato col supporto di “Fenice, Gruppo italiano per la ricerca in medicina d’urgenza”, viene denominato «Test rapido del cammino» e può essere eseguito due volte al giorno dai pazienti con sintomi lievi legati a COVID-19, consentendo di individuare «quelli che hanno una disfunzione polmonare in uno stadio molto iniziale e offrire loro un supporto ventilatorio precoce e di conseguenza più efficace». Nel concreto significa: misurare la saturazione a riposo (vedi sopra). Una volta segnato il valore di saturazione a riposo, eseguire il test rapido del cammino: camminare velocemente, senza correre, per circa 20/30 metri. Bastano anche diversi giri di una stanza. Subito dopo aver camminato in questo modo, bisogna rifare le misurazioni di cui sopra. Se il valore medio misurato dopo aver camminato diminuisce di più di 5 punti rispetto al valore misurato a riposo (se per esempio si passa da 96,4% di saturazione e 90,5% dopo aver camminato), oppure risulta più basso di 90%, è opportuno chiamare immediatamente i numeri d’emergenza per esami più approfonditi.
4. TEMPERATURA
È stato ripetuto in ogni dove: i tre sintomi più comuni del Covid sono la tosse continua (ovvero con episodi numerosi nell’arco dell’ora o almeno della giornata, e in generale superiori alla propria norma); una temperatura superiore ai 37 gradi e mezzo; e poi il sintomo più specifico dell’infezione, fra i tanti che possono sovrapporsi altrimenti con l’influenza: la perdita del gusto e dell’olfatto. Noti questi aspetti, misurare due volte giorno la temperatura, se ci si trova ad essere positivi e in isolamento domiciliare, è necessario per segnalare qualora la febbre non scenda in 72 ore nonostante l’uso di antipiretici come il paracetamolo. Piccola nota: chi si è appena sottoposto al vaccino antinfluenzale sa che per le 48 ore successive invece potrebbe avere un po’ di indolenzimento, di mal di testa o di febbre.
5. ALIMENTAZIONE
Anche se non si ha fame, è importante nutrirsi per supportare la risposta immunitaria, ricordano sempre dall’Aspen. Perdere peso infatti impatta sulla capacità del corpo di superare la malattia e recuperare energie. È bene quindi mantenere un’alimentazione che resti fra le 1500 e le 2000 calorie e che recuperi gli eventuali cali dovuti all’eccesso di sudore per la febbre. Se serve, pesarsi ogni giorno e aiutarsi con snack ad alto contenuto proteico.
6. RIPOSO
Molti malati, anche , di Covid, raccontano l’immensa spossatezza che la malattia comporta. E quindi la voglia di abbandonarcisi, rimanendo a letto. Fisioterapisti e riabilitatori avvertono però che bisogna evitare di “allettarsi” in casa, ovvero di stare immobili a letto per lunghe ore; è meglio mantenere sempre un po’ di movimento, e di tenore muscolare, e cambiare posizione spesso andando a dormire. In particolare, è consigliato dormire a pancia in giù, quando si riesce: è una posizione che facilita il reclutamento alveolare, non consentendo alla gabbia toracica di espandersi troppo inspirando. Per molti il problema però potrebbe essere piuttosto un altro: addormentarsi. L’università di Milano-Bicocca ha provato a indicare alcuni consigli per superare il rischio di disturbi del sonno durante il periodo di isolamento: mantenere delle routine giornaliere; far entrare luce naturale nelle stanze di casa; praticare sempre anche una moderata attività fisica; non studiare o lavorare sdraiati a letto; sentire gli amici. E qui si passa al punto successivo.
7. SALUTE MENTALE
L’ansia e la paura inoculate dal Covid possono spaventare anche le persone più solide e razionali, nella tempesta sanitaria, sociale e psicologica che l’epidemia ha portato nel mondo. Per questo non bisogna accettare la possibilità di questa fragilità, riconoscersi il diritto ad esporla e a farci i conti. Parlare con gli amici, e nei casi in cui l’angoscia, o la rabbia, sembrino insovrastabili, cercare il confronto con degli specialisti. Si sono attivati sia volontari – come la “Brigata Basaglia” a Milano – sia istituzioni – come il numero verde della Regione Lazio 800 118 800. Su “covid19italia.help” si possono trovare indicizzate molte iniziative. I dipartimenti di salute mentale stanno provando a rivolgersi anche agli operatori sanitari. O a particolari categorie, come le neo-mamme a rischio di depressione post-partum: l’azienda sanitaria di Lecco, ad esempio, ha realizzato un’applicazione – Bluebelly – che mette in comunicazione le donne con una squadra di 140 ostetriche formate per portare assistenza domiciliare.
8. TERAPIE E ESERCIZI
In un momento confuso e minaccioso come questo, la corsa a soluzioni farmacologiche semplici, anche se improvvisate, è stata e tuttora sembra essere irrefrenabile. La ciclica riapparizione, ad esempio, della idrossiclorochina nei dibattiti o sui forum, non vuole fare i conti con i risultati allarmanti pubblicati, fra gli altri, su The Lancet, e che indicavano un aumento della mortalità fra i pazienti a rischio, in terapia con idrossiclorochina. Un allarme che ha portato tra l’altro alla sospensione dei trattamenti fuori dagli studi clinici da parte dell’Oms e dell’Aifa, l’agenzia italiana del Farmaco. Fuori dall’uso nei pazienti a rischio, può anche non essere nociva, ma non serve a niente, indipendentemente dalla fase della malattia (la sospensione del trial per mancanza di benefici clinici si può trovare ben spiegata su “Recovery trial”.
Non esistono ad oggi terapie specifiche e efficaci contro il Covid. Le uniche terapie farmacologiche che i medici di base, i servizi territoriali o le Unità speciali possono prescrivere a domicilio, sono orientate a contenere o diminuire il rischio di infiammazione. Il protocollo per la gestione domiciliare dei pazienti dell’Asl città di Torino, ad esempio, prevede paracetamolo fino a 1 grammo per 3 volte al giorno, e sedativi per la tosse se necessari, riferendosi a pazienti con sintomi lievi e senza fattori di rischio (ovvero più giovani di 50 anni e che non abbiano problemi come ipertensione, patologie cardiovascolari, diabete o obesità). Per i pazienti che presentano invece uno di questi fattori, oltre a quanto sopra, i medici prevedono la possibilità di terapie antibiotiche e di eparina come profilassi per eventi trombo-embolici. Per quanto riguarda gli steroidi, le valutazioni randomizzate condotte attraverso il progetto Recovery stanno dimostrando l’efficacia degli steroidi nella riduzione della mortalità, è vero, ma solo nei pazienti più gravi, con insufficienza respiratoria e necessità di ossigeno. È invece controindicato nel paziente meno grave, dove potrebbe al contrario peggiorare la prognosi.
Al di là delle terapie farmacologiche, bisogna sempre ricordarsi del corpo, e del respiro. La società italiana di Medicina fisica e riabilitazione (Simfer) ha messo a punto, insieme all’università politecnica delle Marche e alla clinica di Neuroriabilitazione degli Ospedali riuniti di Ancona una proposta ricca e dettagliato di esercizi per i convalescenti Covid, raggiungibile all’indirizzo https://www.rehab-univpm.it/public/#/covid
9. IGIENE, DISTANZE E MASCHERINE
L’Organizzazione mondiale della sanità ha condiviso alcune linee guida per i familiari conviventi. Le regole, che si possono trovare sul sito dell’organizzazione, prevedono tra le altre cose l’utilizzo della mascherina da parte dei familiari quando si è nella stessa stanza del paziente; il lavaggio separato di biancheria e indumenti; l’igiene delle mani frequenti e la pulizia delle superfici anche con «un detergente con 0.1% ipoclorito di sodio». Se il familiare ha bisogno di assistenza, è meglio scegliere un solo “caregiver”, possibilmente in buona salute e senza patologie croniche.
10. SOLE E AERAZIONE
Aprire le finestre. Ventilare il più possibile le stanze. Far entrare luce naturale. (L’Espresso)
Fonti: “Aspen, American society for parenteral and enteral nutrition”; “Fenice, gruppo collaborativo di ricerca indipendente nella medicina d’urgenza”; progetto “La cura inizia a casa”; Asl città di Torino; Organizzazione mondiale della sanità; università Milano Bicocca