Il morbo di Parkinson può essere causato da alcuni tipi di farmaci?

La malattia di Parkinson, a oltre 200 anni dalla prima descrizione, risulta facile da identificare quando è presente il tremore di riposo. Se il paziente è invece «solamente» rigido o impacciato nei movimenti, vi sono spesso molti dubbi, che si traducono in un ritardo diagnostico o nell’applicazione di terapie che possono aggravare i sintomi. È opportuno ricordare che solo il 50% dei pazienti si presenta, in fase iniziale, con il classico tremore di riposo, quindi esiste un serio rischio che i sintomi, all’esordio, vengano attribuiti a depressione e ansia (sintomi per altro, spesso, realmente presenti). Se il paziente dunque è lento, rigido, lievemente depresso e magari con una sintomatologia gastroenterica, etichettata come psicosomatica, può essere trattato con farmaci antidopaminergici, che si vanno a legare a quel recettore che deve rimanere libero per far lavorare la dopamina che il malato, specie non diagnosticato, e quindi non trattato, ha in quantità ridotta.

Antipsicotici

Ecco quindi che la persona con una patologia lieve, non riconosciuta, diventa in poche settimane un paziente con sintomi gravi. Perché accade questo? Perché il medico non sa che alcuni farmaci dai nomi famigliari sono fortemente controindicati nell’uso cronico anche in soggetti non parkinsoniani, e peggio ancora se si sospetta un Parkinson iniziale. I farmaci incriminati sono tutti gli antipsicotici di vecchia e nuova generazione, con l’esclusione di clozapina e quetiapina a bassi dosaggi. Questi preparati sono prescritti quando necessari e per patologie gravi, come schizofrenia e paranoia, e vengono assunti sotto stretto controllo pschiatrico. Insomma lo psichiatra ben conosce i rischi legati a questi farmaci ed è quindi poco frequente vedere pazienti, trattati con antipsicotici sviluppare un parkinsonismo farmacologico inatteso. Più di frequente invece si osservano pazienti che, convinti di assumere ansiolitici leggeri, stanno invece prendendo farmaci che aggravano o producono parkinsonismo anche nei soggetti non malati.

Parkinsonismo iatrogeno

Ci sono poi i farmaci antivomito a base di metoclopramide, che sono anche in libera vendita. Un’assunzione saltuaria dei farmaci menzionati è per lo più innocua, ma poiché il paziente spesso si abitua all’efficacia di questi procinetici (favoriscono la digestione) e li assume quotidianamente per mesi o anni, ecco che gli effetti collaterali motori si presentano spesso. A questa lista vanno aggiunti anche i farmaci antivertiginosi e alcuni antiipertensivi usati oramai raramente. Se compaiono sintomi di parkinsonismo iatrogeno (cioè indotto dai farmaci) sarà necessario sospendere questi preparati e se il paziente non torna a una condizione di normalità, iniziare una terapia anti-Parkinson tradizionale, a basso dosaggio, associata a una fisioterapia giornaliera. È difficile che il malato possa, senza farmaci, ritornare a una situazione di completa normalità.

Antidopaminergici

L’uso protratto dei farmaci antidopaminergici può portare, quando vengono sospesi, alla comparsa, specie al viso, di movimenti simili a smorfie. Questi movimenti possono attenuarsi spontaneamente o necessitano eventualmente di un trattamento con tossina botulinica. Infine va ricordato che, specie nei periodi caldi, il paziente trattato con antidopaminergici può andare incontro a un aumento della temperatura. Questo fenomeno, se non curato, può portare a morte per una coagulopatia disseminata, seppure in casi molto rari. In conclusione, a fronte di sintomi come lentezza del movimento, rigidità muscolare, tremore di riposo, è opportuno consultare medici specialisti in centri accreditati. (Corriere.it)