Il business del mal di schiena e l’artrodesi
(di Milena Gabanelli e Simona Ravizza per Corriere della Sera) – Negli ultimi 8 anni sembra che l’Italia sia travolta da un incurabile mal di schiena: quasi 30.000 interventi di artrodesi nel 2016. Stiamo parlando di un intervento chirurgico in cui vengono bloccate con viti e placche le ossa del tratto lombare, e che dovrebbe essere l’ultima soluzione, quando falliscono tutte le altre: fisioterapia, infiltrazioni, radiofrequenza, ozonoterapia e procedure mini-invasive, per le quali però non è previsto alcun rimborso dal servizio sanitario nazionale. L’artrodesi invece è rimborsata fino a 19.000 euro, e quindi piace particolarmente agli ospedali privati convenzionati. In Italia, se su 8 milioni e 800 mila ricoveri, il 26% è svolto dal sistema privato accreditato, nel caso dell’artrodesi la percentuale si ribalta. Nel 2016 su 28.907 operazioni, 16.289 vengono eseguite nel privato (56%). Succede perché i privati sono più bravi? Quello che è certo è che quando stai male non aspetti le lunghe liste d’attesa del pubblico, ma ti rivolgi a chi ti visita prima, di solito il privato.
Agli ospedali privati convenzionati piace l’artrodesi
Vediamo i dati: in Lombardia ogni 100 ricoveri solo 35 vengono svolti da strutture private convenzionate (tutti gli altri nel pubblico); ma se prendiamo in considerazione l’artrodesi sono 65 su 100. In Toscana il rapporto pubblico/privato è dell’11% contro il 61% per l’artrodesi; in Emilia Romagna il 19% contro il 68%; in Veneto il 19% contro il 40%; fino ad arrivare al 99% del Molise. Insomma più il privato fa interventi di artrodesi, più in quella Regione ci sono pazienti che per il mal di schiena finiscono sotto i ferri. Ma è possibile che i pazienti dell’Emilia Romagna si ammalino più di quelli della Lombardia? E i toscani più dei veneti, mentre nel Molise se ne salva solo uno? L’incidenza in teoria dovrebbe essere simile (anche al netto della mobilità interregionale). Vi è invece una forte variabilità: segnale univoco, in qualsiasi analisi statistica sanitaria, di rischio di inappropriatezza. Lo studio pubblicato nel 2012 da The Open Orthopaedics Journal — Spinal Fusion in the Treatment of Chronic Low Back Pain — parla chiaro: «L’intervento va considerato l’ultimo step per chi soffre di problemi alla colonna vertebrale, ovvero nei casi eccezionali in cui la stabilità articolare è compromessa, come per traumi e fratture importanti».
L’impennata di interventi chirurgici
La Regione Emilia Romagna nel 2015 si è posta il problema, ed ha incaricato una commissione di esperti per studiare il fenomeno a partire dal 2009, anno in cui è stato introdotto il rimborso. Dall’analisi delle schede di dimissione ospedaliera è emerso che gli interventi di artrodesi vertebrali sono passati da 2.147 nel 2009, a 4.030 nel 2015 (più 88%), con relativo aumento degli incassi (da circa 26 milioni nel 2009 a quasi 50 milioni nel 2015). Ma l’impennata è proprio nel privato accreditato: + 378% in 6 anni, passando da 712 interventi nel 2009 a 2.695 nel 2015. Il report dei clinici alla fine rileva errori di codificazione (classificati, e incassati come artrodesi, interventi più semplici), ma soprattutto un 20% di interventi non necessari. Se consideriamo che la commissione aveva informato gli ospedali di preparare un certo numero di cartelle su cui fare approfondimenti e verifiche, la domanda maliziosa è: quale sarebbe stata la percentuale se fossero state acquisite a sorpresa? La commissione ha poi definito le linee guida, ma nel cambio di Direzione Generale nelle politica sanitaria regionale, si sono perse nel nulla. Sta di fatto che nel 2017, ospedali privati come villa Erbosa di Bologna, e Villa Maria di Ravenna, hanno avuto in 2 anni un incremento di interventi del 100% . In generale in Italia, mentre negli ospedali pubblici il numero di interventi di artrodesi è rimasto costante, nel privato è costante un aumento annuo a due cifre.
Le soluzioni meno invasive, ma meno remunerative
Spiega Federico De Iure, alla guida della Chirurgia vertebrale dell’ospedale Maggiore di Bologna: «L’impennata di interventi di artrodesi nelle strutture private convenzionate è un dato di fatto. La maggior parte dei pazienti che io visito non necessitano dell’intervento. Così spiego loro che il dolore non è destinato a passare del tutto con l’operazione, ma semplicemente a diminuire un po’ in quel tratto lombare e che potrebbe ripresentarsi in altre parti del rachide. Ma non tutti cercano di dissuadere i pazienti dall’operarsi: non bisogna dimenticare che il rimborso che la struttura riceve per l’artrodesi è appetibile e il chirurgo che lavora negli ospedali privati accreditati solitamente prende anche una percentuale che va dall’8 al 14% sull’intervento». Dello stesso parere Stefano Boriani, considerato un luminare della colonna: «Su 10 pazienti che visito perché soffrono di mal di schiena, 9 non sono da operare». Quindi alla fine che succede se viene inchiodata la schiena di un 40enne che non ne ha davvero bisogno? «Non si torna più indietro, e se ha ancora dolore a quel punto non puoi fare altro che rioperare».
Il perverso meccanismo dei rimborsi.
Questo modello di pagamento (che si chiama Drg) lo abbiamo importato nel 1995 dagli Stati Uniti , dove il sistema sanitario è privato, e innestato dentro al nostro servizio sanitario pubblico. Un meccanismo che si presta a storture, scrive il secondo Rapporto sulla sostenibilità del Servizio sanitario nazionale della Fondazione Gimbe e indica «le perverse logiche di finanziamento e incentivazione di aziende e professionisti basate sulla produzione (non sull’appropriatezza) delle prestazioni». In conclusione: se non si corregge velocemente il tiro, si andrà via via svuotando quel «sistema sanitario pubblico» che tutto il mondo ci invidia, perché la politica del doppio binario sta facendo esplodere la spesa, senza portare alcun beneficio al cittadino… quando non lo danneggia.