Fratture di polso nell’anziano: «non sempre da operare»
Pratica clinica e letteratura concordano: nelle fratture di polso del paziente anziano, terapia conservativa e intervento chirurgico portano a esiti funzionali molto simili. Attenzione anche alla riabilitazione, spesso trascurata da operatori e pazienti
Le fratture di polso, che riguardano soprattutto la parte distale del radio o dell’ulna, sono tra le lesioni ossee acute più frequentemente trattate nei reparti d’emergenza. Sono molto comuni nella popolazione anziana, dove si caratterizzano per essere generalmente conseguenti a un meccanismo traumatico a bassa energia e riconducibili, di solito, a una sottostante condizione di fragilità ossea. Ad alto rischio, quindi, è una fascia di popolazione in continua espansione e spesso già gravata dalla predisposizione ad altre lesioni traumatiche, nonché da condizioni patologiche concomitanti. Così le opzioni di trattamento di una frattura apparentemente “banale” come quella del polso, poiché relativamente poco invalidante, possono non essere così scontate.
In assenza di linee guida o documenti di indirizzo ben definiti, sussiste tuttora la difficoltà di scegliere, in questi casi, tra soluzione conservativa e intervento chirurgico. A discutere sulle due alternative proponendo alcuni criteri decisionali, anche sulla base dei risultati di un recente studio retrospettivo di cui è autore insieme al suo team, è Bruno Magnan, direttore dell’Unità operativa complessa di ortopedia e traumatologia B dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata di Verona e professore ordinario di malattie dell’apparato locomotore presso l’Università di Verona.
Professor Magnan, in letteratura sono presenti numerose classificazioni di tali fratture: qual è il sistema di riferimento attualmente considerato più idoneo ai fini della scelta del trattamento?
Queste lesioni vengono divise innanzitutto in due grandi gruppi a seconda della posizione che assumono i frammenti rispetto alla diafisi radiale: le fratture tipo Colles, con dorsalizzazione dei frammenti, e le fratture tipo Goyrand, con volarizzazione degli stessi.
La caratterizzazione forse più completa delle fratture di polso è però fornita dalla classificazione della AO Foundation (Gruppo 23), che è quella alla quale si ricorre comunemente oggi perché ha il pregio di inquadrare in modo preciso la posizione del segmento interessato, lo stato di coinvolgimento della superficie articolare e il grado di comminuzione, creando così una “definizione” della lesione attraverso un linguaggio universale. Per fare un esempio: una frattura articolare completa del radio altamente comminuta sarà così inquadrata: 23-C3.
La complessità della lesione e le richieste funzionali del soggetto sono i parametri fondamentali per decidere il trattamento più adeguato.
Quali sono i tipi di frattura e i meccanismi traumatici più frequenti nella popolazione anziana?
Il meccanismo traumatico più comune è rappresentato dalla caduta accidentale con la mano in posizione di difesa, riflesso incondizionato per proteggere il volto. Il tipo di frattura più frequente è pertanto quella di Colles, dovuta a compressione in estensione, con dorsalizzazione dei monconi di frattura, deformazione a “dorso di forchetta” del polso e scarso coinvolgimento articolare. Tradotto in gergo AO: 23-A da 1 a 3 e 23-B da 1 a 3.
Quanto è importante il meccanismo traumatico all’origine della frattura nell’orientare la scelta del trattamento?
Il meccanismo traumatico è di fondamentale importanza nell’inquadramento diagnostico, terapeutico e prognostico: traumi ad alta energia producono alti gradi di comminuzione e danno a carico della cartilagine articolare, imponendo spesso un trattamento di tipo chirurgico per cercare di ottenere un esito migliore e di conseguenza una buona prognosi.
In una sua casistica di pazienti over 60 il confronto tra approccio conservativo e trattamento chirurgico non ha rilevato differenze significative in termini di outcome clinici: quali potrebbero essere quindi i principi guida per la gestione delle fratture di polso in questi pazienti?
Lo studio a cui fa riferimento è stata una semplice raccolta di dati retrospettivi relativi ai casi clinici seguiti presso il nostro reparto nell’arco di alcuni anni. D’altra parte l’esecuzione di trial randomizzati controllati in casi come questi ha implicazioni etiche difficilmente superabili. Purtroppo si sa che in assenza di una selezione casuale dei pazienti all’origine e di un gruppo di controllo, qualsiasi analisi retrospettiva è destinata a essere statisticamente debole in quanto penalizzata da bias.
Tuttavia, i nostri risultati sono in linea con quanto emerge anche dalla letteratura internazionale, e cioè che nelle fratture di polso dei pazienti anziani si ottengono esiti funzionali discreti, compatibili con le scarse richieste tipiche di questi soggetti, valutati a circa sei mesi dalla lesione, indipendentemente dal tipo di intervento attuato. Si tratta di casi nei quali si può contare su buoni risultati anche con il trattamento conservativo in apparecchio gessato.
D’altra parte vi sono casi, non infrequenti, nei quali è d’obbligo ricorrere comunque alla chirurgia perché sussistono controindicazioni all’utilizzo della metodica conservativa: per esempio l’obesità, la bilateralità della frattura, la compresenza di altre fratture considerate chirurgiche o il rischio di lesioni cutanee, come nei pazienti in terapia cortisonica.
Quali sono le eventuali e più frequenti complicanze del trattamento conservativo?
Come già detto, la prognosi delle fratture a bassa energia dell’anziano con scarso coinvolgimento articolare è molto buona anche con l’approccio conservativo e il decorso non presenta problemi.
La complicanza più comune è l’intolleranza all’apparecchio gessato per stasi vascolare o per compressione a livello del nervo mediano. In questi casi il primo passo da fare è sempre il tentativo di liberare l’arto dalla contenzione, senza però compromettere la stabilità della frattura, cercando di educare il paziente a mantenere il più possibile l’avambraccio in posizione anti-declive per favorire il ritorno venoso.
Nei casi estremi si converte il trattamento da conservativo a chirurgico.
Tra le diverse tecniche di sintesi delle fratture del radio distale riportate in letteratura, quali sono le più idonee e quali possono essere i criteri di scelta tra le varie opzioni?
Il trattamento chirurgico di queste fratture varia a seconda del pattern della lesione, delle condizioni locali e delle richieste funzionali del paziente.
In presenza di un alto grado di comminuzione articolare, di condizioni cutanee a rischio e di limitate richieste funzionali si può optare per un’osteosintesi con fili di Kirschner e protezione con fissatore esterno a ponte tra radio e base del secondo metacarpale oppure, se la cute lo permette, con apparecchio gessato.
L’opzione della sintesi interna con placca e viti viene destinata a pazienti relativamente giovani, con elevate richieste funzionali, dove una sintesi anatomica, quando possibile, sia predittiva per il raggiungimento della prognosi desiderata.
Quali sono le indicazioni più importanti per la gestione post-trattamento, conservativo o chirurgico, ai fini del recupero della funzionalità articolare?
Le fratture di polso sono relativamente poco invalidanti, quantomeno se ad essere coinvolto è l’arto non dominante. Ciò fa sì che un programma riabilitativo possa apparire di importanza secondaria e sia quindi spesso trascurato sia dagli addetti ai lavori che dal paziente stesso, che vuole riprendere subito a svolgere le normali attività quotidiane e lavorative. Al contrario, affinché sia garantito un recupero funzionale relativamente rapido e pressoché completo, queste lesioni dovrebbero sempre seguire stretti programmi riabilitativi.
I protocolli sono molteplici e variano sostanzialmente a seconda dell’età e delle richieste funzionali del paziente. In generale, la mobilizzazione passiva per il recupero dell’articolarità è sicuramente il primo passo fisioterapico, mentre la manipolazione di apposite palline di spugna, delle dimensioni adatte, rappresenta il primo traguardo attivo, che oltretutto favorisce il ritorno venoso e il rinforzo muscolare.
Le terapie fisiche antinfiammatorie con Tecar e Laser, attualmente molto utilizzate, possono essere di supporto per ridurre lo stato flogistico locale e quindi potenziare i risultati della riabilitazione.
Anche in questa fase è di fondamentale importanza affidarsi a strutture competenti, evitando lo spesso abusato fai-da-te, predittivo di cattivi risultati.
Monica Oldani
Giornalista Tabloid di Ortopedia