Esami di laboratorio, tre su dieci sono inutili
Il medico impugna la penna e comincia a scrivere una lunga lista di esami: emocromo completo, controllo degli ormoni tiroidei, transaminasi e così via. Il paziente esce dallo studio con un malloppo di prescrizioni di test diagnostici da eseguire il prima possibile. Quanti di quelli sono realmente utili e necessari? Pochi: ben tre esami di laboratorio su dieci sono infatti inappropriati, secondo la Società di medicina di laboratorio (Società italiana di biochimica clinica e biologia molecolare, Sibioc). Tra rischi di falsi positivi e di sovradiagnosi, gli esami di laboratorio possono rivelarsi un’arma a doppio taglio. Da una parte sono strumenti fondamentali su cui si basa il 70 per cento delle diagnosi mediche e delle conseguenti terapie, dall’altra possono innescare un circolo vizioso di controlli infiniti che incidono sulla qualità di vita dei pazienti e sui costi della sanità pubblica. «Prendiamo i test di funzionalità tiroidea – spiega Renato Tozzoli del Dipartimento di Medicina di laboratorio del presidio ospedaliero S. Maria degli Angeli di Pordenone – l’opinione largamente diffusa fra i pazienti è che più esami si fanno, meglio è. È vero invece proprio il contrario: più profili di test vengono effettuati maggiore è la possibilità di risultati discordanti fra loro, il che complica la diagnosi per il medico che non riesce spesso a spiegarsi la discordanza. Si concretizza la cosiddetta “sindrome di Ulisse” del malato che deve fare altri test, ecografie, scintigrafie passando dal medico di famiglia, al laboratorio, eventualmente dall’endocrinologo, al medico nucleare non perché sia veramente malato, ma perché sono stati prescritti test non adeguati». «In altre aree, invece, i test genetici diventano prioritari. È il caso della celiachia» sottolinea Tommaso Trenti del Dipartimento di Medicina di laboratorio e Anatomia patologica dell’Azienda ospedaliero-universitaria di Modena. «Oggi il laboratorio è in grado di effettuare diagnosi di celiachia senza biopsia intestinale con grande vantaggio per il malato di età pediatrica e ha assunto una rilevanza fondamentale per la diagnosi della malattia. L’importante – spiega il medico – è però ricordarsi che gli esami hanno valore se il paziente non ha già eliminato il glutine: vanno quindi evitate le diete fai da te e va preferito l’immediato ricorso al test». Nel 2015 il ministero della Salute ha aggiornato le indicazioni per la diagnosi della celiachia, definendo un nuovo protocollo: l’obiettivo è migliorare l’appropriatezza, aumentando il numero delle diagnosi precoci e riducendo quelle non corrette e quindi le cure inappropriate. Si parte con un semplice esame del sangue per il dosaggio degli anticorpi anti-transglutaminasi (tTG IgA) e, in caso di risultati positivi, si procede con la gastroscopia e la biopsia duodenale. Nel caso dei bambini la diagnosi di celiachia può essere fatta senza la biopsia, in particolari condizioni: presenza di sintomi, dosaggio degli anticorpi anti-transglutaminasi oltre dieci volte più alto del massimo valore considerato normale, valutazione positiva degli anticorpi anti-endomisio, presenza dei geni di predisposizione Hla Dq2/Dq8. Analogo discorso può essere fatto per la malattia renale cronica che colpisce in Italia circa 2 milioni e 200 mila persone. «La medicina di laboratorio – aggiunge Francesca Di Serio, del Policlinico di Bari – svolge un ruolo centrale nella identificazione dei fattori di rischio, di diagnosi precoce, stadiazione e monitoraggio della malattia. E tutto ciò consente al clinico di intervenire efficacemente riducendo il rischio che questa patologia possa peggiorare, portando il malato alla dialisi o al trapianto con costi importanti e una ridotta qualità di vita». Il test più comune per valutare la funzionalità renale è la determinazione del filtrato glomerulare (Gfr) – o più precisamente la stima della velocità di filtrazione glomerulare (eGfr) – strettamente collegato alla creatininemia, cioè alla determinazione della concentrazione della creatinina nel sangue. Oltre alla creatinina, anche la cistatina C può essere utilizzata per la determinazione del filtrato glomerulare. Un altro indice di danno renale misurabile in laboratorio è la presenza di proteine nelle urine (proteinuria). Infatti, se il rene funziona correttamente tutte le proteine presenti nel sangue vengono riassorbite e non passano, quindi, nelle urine. «Ma l’appropriatezza – conclude Mario Plebani, del Dipartimento Medicina di laboratorio dell’Azienda ospedaliera-universitaria di Padova – entra in campo soprattutto in cardiologia e oncologia. Nel caso del dolore toracico acuto, per esempio, alcuni esami risultano ormai obsoleti e altri rischiano di creare confusione, come quelli della mioglobina e della Ckmb. Va invece scelto il solo esame appropriato, la troponina cardiaca, che permette di dimostrare che il 30 per cento dei pazienti con dolore cardiaco senza segni elettrocardiografici ha un infarto ben definito. E nel cancro i marcatori tumorali devono essere richiesti in modo adeguato per pazienti preparati psicologicamente a ricevere la risposta e consultarsi col proprio medico per la corretta interpretazione». (healtdesk.it)