Corsa e ginocchia: artrosi, appoggio e stretching, i tre miti da sfatare
(di Agnese Ananasso) – Corsa, croce e delizia delle articolazioni, delle ginocchia soprattutto. Più croce o più delizia? Stando a uno studio del 2013 più delizia che croce. Infatti per i ricercatori, che hanno messo a confronto 75 mila runner con 15 mila “walker”, i primi erano nettamente meno predisposti a sviluppare l’artrosi del ginocchio rispetto ai secondi, con probabilità quasi dimezzate. Per l’autore dello studio, Paul Williams, la motivazione è da attribuire al fatto che chi corre ha un indice di massa corporea inferiore rispetto a chi cammina solamente. E all’aumentare dei chilometri percorsi settimanalmente diminuisce il rischio di artrosi. Anche in questo caso la spiegazione è che il principale fattore di rischio dell’osteoartrosi al ginocchio è l’obesità. Quindi più magri si è e meglio è. Anche se il tono muscolare alto resta un fattore fondamentale per il benessere delle articolazioni. Quindi magri sì, ma muscolosi.
Artrosi. “Non ci sono prove che la corsa aumenti il rischio di osteoartrosi” conclude Williams “anche se si fanno le maratone”. Certo, poi ci sono da considerare le predisposizioni genetiche e la familiarità, elementi che spesso restano sconosciuti ai medici e comunque le informazioni su questi aspetti restano molto poche. In generale quindi, in una situazione di benessere senza particolari patologie, i benefici della corsa restano maggiori rispetto ai potenziali rischi per le articolazioni.
Lo stretching fa bene? Un altro mito da sfatare è quello dei benefici dello stretching, in particolare prima dell’allenamento, per prevenire gli infortuni. Un’indagine condotta dal Cochrane reaserch network sui benefici dello stretching hanno evidenziato che, sia che venga fatto prima, che dopo che durante l’esercizio, “non ha effetti significativi sulla riduzione degli infortuni”. Una tesi confermata anche dal Clinical Journal of Sports Medicine. Addirittura lo stretching statico potrebbe rivelarsi deleterio, forse più per i velocisti che non per i maratoneti. Per prevenire gli infortuni sarebbe molto meglio fare dei movimenti “funzionali”, che attivino le articolazioni e la muscolatura, prima di iniziare a correre. O comunque se proprio si vuole fare stretching prima, è meglio sceglierne uno attivo e iniziare molto molto lentamente.
L’appoggio ideale. Fattore prinicipe, oltre al peso, che può condizionare in modo importante il benessere delle ginocchia è il modo in cui si corre. Per diversi anni, si è diffusa l’idea che il modo migliore per correre fosse quello “naturale”. Ma “naturale” per chi? I fautori di questa teoria si riferivano allo stile di corsa degli atleti di élite – lo stesso dei Tarahumara, i nativi di una zona del Messico, citati nel libro Born to run di Christopher McDougall’s – non certo a quello dei comuni mortali. Gli atleti, quelli veri, non atterrano di tallone, come invece fanno i corridori non di élite, ma poggiano prima l’avampiede. Ma anche il mito che questa sia la postura ideale va sfatato perché qualche volta poggiano anche il tallone e comunque l’azione di corsa sull’avampiede è determinata dalla velocità tenuta: correre di tallone, infatti, andando veloce, è meccanicamente impossibile. Anche semplicemente facendo degli allungamenti infatti si tende a dare priorità all’avampiede, anche senza pensarci. Eppure i ricercatori del Massachusetts Insitute of Technology hanno messo in evidenza che quando si corre a velocità moderata, piano, a un ritmo di circa 5 minuti a chilometro, correre di tallone può essere più efficace del 6% rispetto alla corsa con l’avampiede o con la zona mediale del piede. Gli scienziati hanno anche calcolato il ritmo-soglia di tale, che si colloca intorno ai 4 minuti al chilometro.
Atleti. Uno studio condotto nel 2012 tra 52 atleti di endurance di college americani ha avallato la tesi che correre sull’avampiede non è la corsa “ideale” per prevenire gli infortuni, anzi: nei runner che correvano di avampiede il tasso di infortuni era più di chi correva di tallone. C’è da dire che il numero del campione analizzato era troppo esiguo per trarre delle conclusioni applicabili all'”universo” dei runner, anche perché nell’indagine sono stati osservati atleti che corrono naturalmente, spontaneamente di avampiede (non atleti che hanno modificato la loro postura) e soprattutto si tratta di atleti “veri” che si sottopongono a 5-6 sedute di allenamento settimanali.
Non cambiare l’equilibrio. Naturale o non naturale, quindi, il consiglio è che se funziona, se non ci si fa male, è meglio non modificare il proprio equilibrio. Si può migliorare piano piano l’appoggio, lo stile di corsa, lavorando sulla muscolatura e sull’utilizzo dei piedi ma non si può completamente stravolgere il proprio modo di correre, nell’ottica della prevenzione. Soprattutto, per cambiare, occorrerebbe morire e rinascere. E ricominciare da zero. (Repubblica.it)