Cervello, risata e clownterapia

clown

L’umorismo è un processo mentale complesso considerato esclusivo dell’uomo, al contrario del sorriso e della risata che sono invece risposte fisiologico-comportamentali condivise, nei loro aspetti basilari, con altri animali. In particolare, è possibile affermare che l’umorismo è di dominio esclusivo della mente umana poiché esso dipende dalla Teoria della Mente, ovvero dalla capacità che gli uomini hanno di comprendere gli stati mentali altrui. Inoltre, bisogna considerare che per comprendere l’umorismo è necessario un certo sforzo cognitivo: esso infatti nasce quando, entro uno schema narrativo, si inserisce un elemento incongruente; la scoperta di tale incongruenza richiede un certo sforzo che solo chi fa parte della specie umana riesce a compiere.

L’umorismo è fondamentale e pervasivo nella vita dell’uomo e pertanto viene considerato in stretta relazione con la salute fisica e il benessere psicologico (Martin & Lefcourt, 2004). Lo studio dell’umorismo, e, di conseguenza, la sua definizione, ha inizio in Gran Bretagna e in Germania in ambito filosofico fino ad essere oggetto di molti studi negli Stati Uniti negli anni ’60: è proprio a questi anni che risale il saggio sulla Psicologia dello Humor di Paul Mc Ghree, fondamentale per la definizione del concetto.

La risata spesso viene confusa con l’umorismo, tuttavia se l’umorismo è la capacità di cogliere ed esprimere il lato curioso e incongruente della realtà, la risata è l’espressione sia di emozioni positive di allegria e benessere sia negative quali rabbia o agitazione (risata nervosa). Considerare la risata solo come la risposta a qualcosa di divertente è riduttivo, infatti ci sono notevoli differenze nei modi in cui si esprime la risata e nel messaggio che veicola e, come per l’umorismo, la risata non è facilmente definibile in quanto può essere di tipi diversi: genuina, sarcastica, fittizia..

La risata può però anche presentarsi, quale reazione incontrollata, irrefrenabile, improvvisa e non congruente agli stimoli ambientali, in alcune malattie neurologiche (per esempio, lesioni cerebrovascolari, traumi cranici, sclerosi multipla, sclerosi laterale amiotrofica, demenza di Alzheimer o tumori cerebrali); tale condizione, comune a diversi disturbi neurologici, si definisce come sindrome pseudobulbare.

Con il termine sorriso, infine, si indica un’espressione del volto che coinvolge la bocca, le labbra e gli occhi. Il sorriso può diventare risata ma si differenzia da questa perché meno impulsivo e più duraturo.
Il sorriso non è però solo associato al riso ma possiede diverse funzioni: potrebbe, per esempio, essere la risposta a qualcosa di delicato e problematico (Ekman & Friesen, 1982; Ruck & Ekman, 2001).

Definire che cosa succede nel cervello che ride non è cosa semplice.
La risata e il sorriso coinvolgono principalmente le aree mimico-motorie mentre con l’umorismo vero e proprio quasi tutto il cervello “si accende” poiché si tratta di un processo di alto livello che coinvolge componenti affettive, relazionali, emotive, espressive, motorie.

..Se si può ridere di un problema, esso può essere superato.

(Borcherdt, 2002)
Innanzitutto, i benefici per la salute possono derivare da numerosi cambiamenti fisiologici del corpo che accompagnano il riso, quali i cambiamenti muscolo-scheletrici, cardiovascolari, endocrini, immunitari e del sistema neurale. Secondo questo modello teorico, la risata è la componente fondamentale della connessione tra umorismo e benessere e, di conseguenza, l’ umorismo e il divertimento senza risate non porterebbero a eventuali benefici per la salute. In effetti la risata dovrebbe avere effetti positivi anche senza humor (ad esempio una risata finta o una risata forzata), come sostenuto dal leader del movimento del Club della Risata (ad esempio, Kataria 2002). Da questo punto di vista, la persona con un ”sano” senso dell’umorismo è colui che ride fragorosamente il più spesso possibile, più che colui che gode di un umorismo “contenuto” accompagnato solo dalla risatina occasionale o da un sorriso. Secondo questo modello, gli interventi di umorismo dovrebbero consistere nell’incoraggiare le persone a impegnarsi in risate frequenti e intense.

Il secondo meccanismo attraverso il quale l’umorismo potrebbe potenzialmente influenzare la salute riguarda, invece, gli stati emotivi positivi che accompagnano umorismo e risate. Infatti le emozioni positive, indipendentemente da come vengono generate, possono avere effetti benefici sulla salute, come ad esempio aumentare la tolleranza del dolore (Bruehl et al., 1993), migliorare la risposta del sistema immunitario (Stone et al., 1987), o annullare le conseguenze cardiovascolari di emozioni negative (Fredrickson,1998).

Questo secondo modello non riconosce la necessità della risata per ottenere benefici poichè l’umorismo e il divertimento possono indurre stati d’animo positivi anche in assenza della risata. Inoltre, questo modello conferisce un ruolo meno esclusivo all’umorismo e alla risata nel miglioramento della salute, in quanto ci sono particolari mezzi per aumentare le emozioni positive, insieme alla felicità, all’amore, alla gioia e all’ottimismo.

Il terzo potenziale meccanismo sostiene che la salute può indirettamente beneficiare dell’umorismo in quanto questo modererebbe gli effetti negativi dello stress psicosociale. Vi sono numerosi studi che dimostrano che esperienze di vita stressanti, cui consegue la produzione cronica di ormoni legati allo stress (ad esempio le catecolamine e il cortisolo) possono avere effetti negativi su vari aspetti della salute, quali la soppressione del sistema immunitario (Adler & Hillhouse, 1996) e un aumento del rischio di malattie cardiache (Esler,1998).

Come sottolineato finora, la popolazione scientifica ha mostrato un interesse sempre maggiore verso il tema dell’umorismo. La figura del Clown, sempre presente in più contesti, è divenuta sia uno strumento di formazione psicopedagogica che una figura di supporto psicologico.

La figura del clown ha un’origine molto antica e in moltissime culture era legata a pratiche magico-religiose. Nei secoli la figura del clown è cambiata e all’interno del mondo sociale si è avvicinata all’espressione della polemica sociale e del sarcasmo: il clown, attraverso l’amplificazione grottesca ed esagerata, esprime disapprovazione, risentimento e critica popolare. Un elemento comune alle diverse culture è vedere questa figura come depositario di una sapienza “altra”, nonostante sia apparentemente sciocco, con il compito di mettere in evidenza le contraddizioni delle leggi, delle parole dei potenti, delle consuetudini (Fioravanti & Spina, 1999); questa caratteristica è ancora presente nell’immaginario attuale.

Nei corsi di formazione di arte clownesca vengono studiati i meccanismi che innescano la risata, che non è legata a cadute o smorfie del clown ma, al contrario, scatta nel momento del fallimento: non fa ridere il personaggio ma l’uomo mostratosi cosi come è, “a nudo”.

L’aspetto di strumento pedagogico del clown sta proprio nel concetto di fallimento, di inadeguatezza di ogni uomo nei confronti della realtà.
La “piccola” maschera del clown, un semplice naso rosso, in realtà ha un grande significato e funge da strumento pedagogico. Quando questo viene indossato permette di scoprire i lati più nascosti della propria personalità, le proprie debolezze e fragilità; si annulla la differenza tra attore e clown, ed è in questo momento che il soggetto accetta i proprio difetti e le proprie insicurezze, ride di se stesso per poter far ridere gli altri.

Il clown diventa il portatore di una filosofia di vita alternativa, una filosofia in cui non esistono convinzioni sociali, in cui ci si libera da schemi mentali e sociali arrivando a un’emancipazione totale; solo così può emergere l’unicità della persona e la sua forza personale.
La clownterapia aiuta le persone ad acquisire un nuovo punto di vista sulle situazioni problematiche e ad affrontare la vita in maniera più ottimistica, grazie ad esercizi sistemici di autoironia che permettono di distaccarsi dal problema, percependolo ridimensionato e spesso possibile oggetto di cambiamento (Dionigi & Gremigni, 2010).

Per suscitare la risata, il clown sovverte gli schemi standard mostrando le sue debolezze, e, pertanto, la clownterapia diventa una terapia della vergogna in cui anche lo spettatore ride delle sue debolezze, nonostante la sua posizione superiore e distante dal clown (Farneti, 2004).

Il clown dottore è colui che, a prescindere dal titolo di studio, opera nei contesti di disagio unendo l’arte clownesca e le conoscenze psico-socio-sanitarie al fine di agire sulle emozioni: è una figura di sostegno e aiuto ai pazienti ospedalizzati che collabora con l’equipe ospedaliera, ha un camice colorato che serve per ironizzare sulla figura medica e sovvertire la sua immagine, rendendola più umana. Il bambino e i genitori decidono liberamente se accettare l’intervento del clown dottore, poichè talvolta il dolore è troppo forte per permettere il gioco in serenità.

I clown dottori si basano sull’improvvisazione, si lasciano ispirare dal momento facendo riferimento a conoscenze sulla giocoleria, sull’arte clownesca e sull’espressività teatrale con particolare attenzione alle reazioni dei bambini. I bambini vengono coinvolti negli sketch o nei giochi in modo da aumentare la loro sensazione di essere artefici di qualcosa di speciale, sentondosi importanti per il clown. Questo rinforza la fiducia e la stima in se stessi e la loro disponibilità verso gli altri.

[Fonte http://www.stateofmind.it/2016/11/clownterapia-risata-umorismo/]