Senza le malattie cardiache gli esseri umani si sarebbero già estinti
Per i biologi e i genetisti può diventare un chiodo fisso: scoprire il vantaggio evolutivo di fenomeni che sembrano piuttosto remare contro la sopravvivenza della specie. La sfida si fa dura nel caso delle malattie cardiovascolari, prima causa di morte nel mondo con 17 milioni di decessi all’anno. Cosa ci guadagna l’Homo sapiens?
Così riporta la redazione di Healtdesk.it. I genetisti della School of BioSciences dell’Università di Melbourne hanno scoperto un curioso effetto benefico, evolutivamente parlando, delle patologie cardiache. I geni coinvolti nello sviluppo delle malattie coronariche (coronary artery disease, Cad) faciliterebbero niente di meno che la capacità di riprodursi, il primo requisito per preservare la specie.
Ciò spiegherebbe per quale motivo la selezione naturale non li abbia fatti fuori alla prima occasione. Questi geni, al contrario, sono stati particolarmente protetti dal processo evolutivo, tanto da venire tramandati per millenni fino ai giorni nostri. Infatti i primi segnali di ispessimento delle arterie coronariche sono stati trovati nelle mummie dell’antico Egitto. È molto probabile, quindi, che ci portiamo dietro questi geni da migliaia di anni.
«Secondo la teoria della selezione naturale proposta da Charles Darwin, i geni che favoriscono la sopravvivenza individuale o la riproduzione dovrebbereo venire conservati o aumentati nella popolazione – spiega Sean Byars coautore dello studio – mentre quelli che riducono le nostre possibilità di sopravvivere dovrebbero venire selezionati in negativo e gradualemnte rimossi o ridotti con il passare del tempo. Quindi non era chiaro perchè le malattie coronariche sono così comuni ai nostri giorni».
I ricercatori hanno analizzato 56 regioni genetiche coinvolte nelle malattie coronariche in 12 comunità originarie di paesi dell’Africa, dell’Europa, e dell’Asia orientale. Grazie a uno strumento statistico sono riusciti a rintracciare i recenti cambiamenti selettivi nel Dna associati alla patologia. Dall’analisi pubblicata su PLOS Genetics è emerso che molti geni coinvolti nella malattia sono stati “volutamente scelti” per essere conservati nel corso dell’evoluzione.
«È per questo che abbiamo sospettato che dovesse esserci qualche effetto benefico sconosciuto – dice Michael Inouye, anche lui a capo dello studio».
Andando avanti con le ricerche, gli scienziati hanno scoperto che i geni in questione sono coinvolti nella fertilità maschile e femminile, tanto da essere espressi negli organi chiave della riproduzione, come testicoli, ovaie, utero.
Tutto torna. L’evoluzione ha fatto cinicamente i suoi calcoli: i primi segnali della malattia generalmente compaiono tra i 40 e i 50 anni, quando i potenziali effetti benefici dei geni sulla fertilità sono già stati sfruttati.